Il profondo mutamento che il concetto di Welfare State sta attraversando in questi anni – a causa delle restrizioni della spesa pubblica, che rischiano di comportare una contrazione delle prestazioni di servizi pubblici e, contemporaneamente, l’emergere di bisogni sociali sempre più articolati e complessi da soddisfare – genera la necessità di sperimentare nuove forme contrattuali basate sul risultato – o impatto – sociale. In altre parole, il coinvolgimento dei soggetti privati – finanziatori e non – è ricercato per sopperire alle carenze dell’amministrazione, in quanto soggetto erogatore di servizi pubblici, svolgendo una funzione succedanea, da un lato, ma anche responsabilizzandosi a raggiungere finalità di interesse pubblico più sfidanti. Questa esigenza è alla base dei c.d. Outcome based contract (Obc), caratterizzati dalla presenza di un sistema di pagamento basato sui risultati (outcome), individuati non (solo) con riferimento alle specifiche definite, ex ante, dal soggetto pubblico (output, ossia il livello di prestazioni atteso), ma come «valore aggiunto» generato a favore degli utenti finali. Questi strumenti si possono attivare mediante il coinvolgimento dei classici soggetti che caratterizzano la contrattazione pubblica, ossia la tipica triangolazione in cui sono presenti le amministrazioni, gli operatori economici (tra cui, in questo caso, occorre includere anche gli operatori del c.d. terzo settore, che hanno un minor interesse per la ricerca del profitto, ma una più spiccata conoscenza del settore in cui operano) e gli utenti finali.
Agli Obc possono accompagnarsi anche i c.d. social impact bond (Sib), che, in linea teorica, potrebbero essere il loro naturale complemento dal punto di vista finanziario. In tali casi, il finanziatore non è direttamente coinvolto nell’esecuzione dell’Obc, ma assume il rischio di recuperare il proprio investimento attraverso l’esecuzione del servizio, da parte dell’operatore che lo gestisce, in funzione del valore economico generato per il sistema pubblico – inteso in senso generale e non solo come controparte contrattuale –, in termini di risparmi di spesa pubblica. Ciò implica che, dal punto di vista contrattuale, nel caso dei Sib, oltre ai soggetti coinvolti negli Obc, sia necessaria la presenza anche di un finanziatore, il quale, a sua volta, potrà essere contro-garantito da un soggetto terzo, per mitigare il proprio rischio. In sostanza, mentre, negli Obc, l’outcome può essere identificato in base a vari aspetti (non solo in termini economici) e la responsabilità/rischio grava sulla controparte privata del settore pubblico, nei Sib, l’outcome deve – in ultima istanza – quantificarsi in termini di risparmio di spesa pubblica. Il paradosso è che il risultato che tipizza questi strumenti grava, di fatto, su un soggetto – il finanziatore – esterno al rapporto contrattuale pubblico-privato. Quest’ultimo, infatti, si limiterà a finanziare/garantire il risultato finale del contratto, ma non potrà essere ritenuto contrattualmente responsabile per l’esecuzione – o mancata esecuzione – del contratto stesso.
A prescindere dalle suddette distinzioni, Obc e Sib sono accomunati dall’assunzione del rischio legato all’outcome, ossia di un rischio ulteriore – rispetto al classico sinallagma, basato sul raggiungimento del livello di prestazioni previsto contrattualmente -, che coinvolge un soggetto pubblico ed uno privato nel raggiungimento di un risultato, a favore degli utenti finali. In questi casi, infatti, il rischio si pone al di fuori e al di là della mera prestazione contrattuale in risposta a determinate specifiche richieste – anche sotto forma di specifiche “funzionali” – dall’amministrazione. Questo rischio aggiuntivo potrebbe essere qualificabile come una forma più evoluta e più “spinta” del rischio operativo, ossia di quell’elemento che caratterizza il modello concessorio/Ppp, ai sensi della direttiva 2014/23/UE in materia di concessioni (Direttiva Concessioni – Direttiva) e del D.Lgs. 50/2016 e ss.mm.ii. (Codice dei Contratti Pubblici
– Codice). Detto altrimenti, il raggiungimento dell’outcome potrebbe costituire un’ipotesi di “reale esposizione alle fluttuazioni del mercato” [art. 3, comma 1, lett. zz Codice], poiché, al momento della stipula di un OBC, all’operatore privato non è “garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione… dei servizi”.
Dal punto di vista tassonometrico, pertanto, i modelli Obc potrebbero essere ricondotti alla categoria aperta dei contratti di Ppp, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 180, comma 8 del Codice, che menziona «qualunque altra procedura (rectius, contratto) di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedenti». Tale conclusione si basa sull’idea che, al di là del nomen iuris, rilevano le caratteristiche sostanziali del contratto, e, in particolare, la sua causa, che, ai sensi dell’art. 1325 c.c., è uno degli elementi essenziali del contratto. Pertanto, la presenza del rischio operativo (e non meramente imprenditoriale, che è sempre presente nei contratti pubblici) consente di ritenere che, per i contratti di Obc, sia utilizzabile solo il modello concessorio.
Se, dunque, è concepibile che i contratti di Obc abbiano, come approdo naturale, i contratti di Ppp, tuttavia, è necessario operare un ulteriore distinguo rispetto ai settori nei quali gli stessi possono essere stipulati. In tal senso, si ricorda la ripartizione dei servizi in servizi d’interesse generale – i Sig – e servizi d’interesse economico generale – i Sieg. Premesso che i c.d. servizi sociali possono rientrare, a seconda dei casi, in entrambe le tipologie, la fondamentale differenza è data dalla natura economica dei Sieg, che comporta la possibilità di allocare un rischio operativo e di ipotizzare diverse modalità di remunerazione, inclusa quella da parte dell’utenza finale.
Di contro, nei Sig, il pagamento è sempre a carico del settore pubblico e, generalmente (al netto di ipotesi particolari, che possono essere applicate ad alcuni settori, quali, ad esempio, alcuni servizi sanitari), lo stesso copre interamente i costi del servizio, senza lasciare alcun margine per l’assunzione del rischio operativo, come declinato nella Direttiva e nel Codice, in capo all’operatore che lo gestisce. Infatti, ove i Sig sono esternalizzati, gli stessi sono, solitamente, gestiti da operatori del terzo settore. La scelta del settore è fondamentale per evitare di stipulare contratti nulli, identificando outcome irrealistici e di poco costrutto, perché non in grado di ingaggiare il contraente privato in maniera legittima ed equilibrata. Ciò comporta la necessità di prestare l’opportuna attenzione nella fase di programmazione, durante la quale deve essere correttamente individuato, innanzitutto, il settore in cui sperimentare queste modalità contrattuali per, poi, procedere alla corretta definizione del perimetro del servizio. A quest’elemento – che altro non è se non l’identificazione dell’oggetto del contratto in termini di output -, in coerenza con le disposizioni della Direttiva e del Codice, è, poi, necessario aggiungere il ben più complesso esercizio di definizione del risultato di valore a tendere (outcome), ossia il risultato ulteriore rispetto alla prestazione del servizio in sé, in termini sia di risparmio, o invarianza, di spesa pubblica – a parità, se non addirittura di miglioramento, della qualità del risultato in un’ottica di efficienza -, sia di concreto vantaggio per gli utenti, in coerenza con la ricerca di efficacia dell’agere pubblico.
Su tale base, occorre individuare – oltre agli operatori privati competenti ed interessati – il sistema di indicatori idoneo a rilevare l’effettivo conseguimento dei risultati preconizzati. Ciò comporta la definizione di parametri e modalità (ed eventuale progressività) del monitoraggio, durante l’esecuzione del contratto, in una logica simile a quanto prescritto dall’art. 181, comma 3 del Codice per accertare la presenza continuativa del rischio operativo in fase di esecuzione dei contratti di Ppp/concessione. La presenza e rilevanza del rischio operativo sono intimamente legate allo sviluppo di un’adeguata metodologia di remunerazione, che, specie nel caso degli Obc, non si focalizzi solo sull’irrogazione di eventuali penalità – in caso di accertati inadempimenti -, ma concepisca anche la possibilità di attuare meccanismi premiali, ove i risultati siano raggiunti prima o meglio, rispetto alle prescrizioni contrattuali. Questa metodologia, che necessariamente interiorizza una maggiore flessibilità, in fase di esecuzione del contratto, consente di incentivare ulteriormente i soggetti privati ed è in linea con le previsioni del Codice, dettate dall’art. 175 (Modifiche contrattuali). Tuttavia, negli ambiti fortemente influenzati dalla regolamentazione specifica, il risultato è determinato da una serie di fattori, che sfuggono all’ambito di competenza dell’operatore che gestisce il servizio. Si pensi, ad esempio, al caso di servizi – come la sanità, ma non solo – la cui componente essenziale (c.d. attività core) può essere erogata solo dal soggetto pubblico, titolare dell’attività, cui l’operatore economico privato fornisce supporto.
Ne consegue l’inopportunità di allocare all’operatore privato un rischio che lo stesso non può calcolare, né gestire in alcun modo, pena il mancato successo dell’operazione. Ciò detto, anche in tali settori sarebbe possibile stipulare Obc, a patto di circoscriverli a segmenti limitati e ben definiti, i cui risultati siano più facilmente individuabili e maggiormente controllabili, ex ante. In termini pratici, la corretta ed equilibrata calibrazione del rischio operativo comporta la necessità di una reale collaborazione per ottenere i risultati, che, seppur declinati in prospettiva diversa, entrambe le parti si prefiggono. A tal fine, può essere utile ricorrere a strumenti di coprogettazione, tra il settore pubblico e gli operatori privati, oltre che con gli utenti, finalizzati al miglioramento del servizio, che potrebbero incardinarsi nelle previsioni dell’art. 66 del Codice, così da poter, da un lato, meglio congetturare il perimetro contrattuale (costituito da output e outcome), sulla base dell’identificazione dei risultati da conseguire e, dall’altro, strutturare opportunamente il contratto, per poter verificare il conseguimento del risultato attraverso indicatori chiari e oggettivi, nonché modulare la declinazione del rischio operativo, anche in fase di esecuzione del contratto, prevedendo che le condizioni suscettibili di modifica siano disciplinate da clausole «chiare, precise e inequivocabili» (cfr. art. 175 Codice). Affinché tali meccanismi siano corretti e legittimi è necessario che l’outcome sia oggettivamente misurabile ex ante, come avviene, ad esempio, per il risparmio energetico nei c.d. contratti Epc.
A valle dell’identificazione dell’oggetto del Obc e della strutturazione del rischio, che ne rappresenta la principale caratteristica contrattuale, occorre identificare anche gli adeguati percorsi procedurali. In questa prospettiva, le opzioni sono molteplici e variano in funzione dell’esistenza, o meno, sul mercato della soluzione ricercata e del suo stadio di sviluppo. Laddove la soluzione non sia disponibile e richieda un’attività di ricerca significativa, per identificare il risultato, si potranno utilizzare modelli procedurali che non rientrano nell’ambito delle Direttive e del Codice, quali gli appalti pre-commerciale (cfr. art. 158 del Codice, che rinvia alla Comunicazione della commissione sugli appalti pre-commerciali del 2007), che riguardano unicamente l’attività di ricerca, ma richiedono il lancio di una nuova procedura di gara per l’affidamento del servizio configurato a valle della stessa. Alternativamente, ove le soluzioni siano (astrattamente) disponibili, l’Obc potrà essere affidato come Ppp/concessione a iniziativa pubblica o privata, a patto di affinare non tanto le soluzioni tecniche – già disponibili – quanto proprio l’assemblaggio procedurale – rectius, contrattuale -, che necessita di capacità innovative in relazione alle modalità di gestione del rischio derivante dalla remunerazione basata (in tutto o in parte) sull’outcome e ai sistemi di misurazione dei risultati tramite gli indicatori. Un’altra soluzione può essere il partenariato per l’innovazione (Ppi), ma solo ove i risultati perseguiti, o parte di essi, richiedano un’attività di ricerca finalizzata a renderli pienamente fruibili. Infine, si potrebbe ipotizzare anche il ricorso al dialogo competitivo, proprio per riuscire a meglio calibrare la presenza e l’allocazione di un rischio ben equilibrato.
Per quanto riguarda, poi, la modalità di finanziamento tramite Sib, il ricorso allo schema contrattuale concessorio appare più complessa, poiché il rischio che si assume il finanziatore/garante non è gestito direttamente da quest’ultimo, bensì dipende dalle attività svolte dall’operatore incaricato del servizio, il quale è remunerato dal finanziatore in ogni caso, come sempre avviene nei contratti di finanziamento Da ciò deriva, da un lato, che la – qui consigliata – fase di co-progettazione è più complessa, perché il soggetto che presta il servizio – e che sarebbe, dunque, coinvolto in tale co-progettazione – non è quello che rischia e, dall’altro, che il finanziatore, su cui ricade il rischio, ha solo lo strumento del subentro per incidere sulla qualità del servizio, il che rischia di rendere il suo finanziamento assimilabile a un contratto aleatorio. Detto altrimenti, è assimilabile ai contratti di assicurazione – anch’essi aleatori -, ma, a differenza di questi, se ci sono sottoscrittori di Sib, la ricaduta sociale è molto più ampia di un normale contratto di finanziamento perché contribuisce al risparmio pubblico, creando un circolo virtuoso: gli investimenti privati che, supportando la miglior maniera di investire pubblica, creando volano, così consentendo al pubblico di raggiungere quegli obiettivi d’interesse pubblico cui vorrebbe arrivare, ma non riesce da solo. In tale contesto, il coinvolgimento dei finanziatori – necessariamente attenti ai profili della propria redditività – può essere facilitato attraverso la strutturazione di Obc standardizzabili e con risultati attesi ragionevolmente prevedibili.
In conclusione, è possibile strutturare un contratto di Ppp sotto forma di Obc, laddove vi siano un forte “commitment” del settore pubblico in termini di policy, di mezzi e di adeguata strutturazione, per assistere e mettere a sistema i dati e le esperienze, un’adeguata interlocuzione con il settore privato e un patto con gli utenti per la progettazione del servizio, idealmente, utilizzando strumenti innovativi sia sul piano tecnico, sia in termini contrattuali, unitamente alla capacità di pianificazione e di identificare obiettivi circoscritti. Inoltre, nell’identificare – anche in maniera partecipativa – il perimetro dei servizi e il loro potenziale in termini di outcome è fondamentale che il rischio non sia eccessivamente elevato, tale da configurare il contratto come aleatorio. A tal fine, è importante coinvolgere sia soggetti del terzo settore, sia operatori imprenditoriali, industriali e finanziari. In particolare, sotto il profilo del finanziamento degli Obc, tramite Sib, se il rischio resta in capo al solo finanziatore, che rimane estraneo al contratto con l’amministrazione, è più complesso configurare uno schema contrattuale di Ppp, visto che il gestore del servizio non si assume alcun rischio. Di converso, sarebbe possibile concepire un contratto unico di Ppp, sul modello del leasing in construendo, in cui il finanziatore entri a far parte della compagine stessa del gestore del servizio.
Considerato il favore normativo che si sta sviluppando verso questo tipo di contratti (si veda il Dpcm 18.12.2018 sul Fondo di innovazione sociale e l’ultima revisione dell’art. 183, comma 17-bis del Codice sulla possibilità, per investitori istituzionali e banche di sviluppo, di presentare proposte a iniziativa privata), il ricorso a Obc e Sib potrebbe costituire un’opzione di finanziamento in più per Ppp di servizi in settori ad alto valore sociale. In particolare, si potrebbe ipotizzare la strutturazione di contratti di Ppp in cui l’operatore che presta il servizio potrebbe assumersi totalmente il rischio (operativo) in termini di output – ossia di efficienza della prestazione del servizio, sulla base del raggiungimento dei livelli quantitativi e qualitativi fissati nel contratto -, da cui dipende il rientro del proprio investimento e dei costi del servizio stesso, ma sia prevista l’assunzione di un ulteriore livello di rischio – da condividere con un soggetto finanziatore -, quantificabile in termini di outcome – ossia di conseguimento di un risultato esterno al servizio e afferente l’efficacia dello stesso per risolvere specifiche criticità individuate ex ante (ad esempio, in campo sanitario, abbattimento delle liste di attesa) – e strutturato in forma di incentivo, così da stimolare il settore finanziario a investire in questo tipo di progetti.
Infine, in presenza delle condizioni, sopra evidenziate, in termini di policy e di programmazione, una volta selezionati i settori da coinvolgere – in modo da non sottrarre risorse a quelli che, per loro natura, non sono adatti a questo tipo di soluzioni, come la maggior parte dei SIG – e della tipologia di outcome conseguibili – per evitare di allocare rischi eccessivi e non gestibili agli operatori privati – sarebbe utile ipotizzare un fondo di investimento pubblico, che possa erogare anche aiuti di Stato – in forma di garanzie e non di contributi diretti – per superare il fallimento di mercato, e convogliare risorse private su progetti sufficientemente innovativi, e, al contempo, replicabili.
(*) Avvocato SDA Bocconi School of Management